Albicocche e incremento termico: una questione davvero rappresentativa per capire il quadro “culturale” dell’attuale dibattito sul clima

 

20 luglio 2022

 

 

 

Di questa vicenda mi ero già occupato nell’estate 2019, ma ritengo sia opportuno tornare ora a discuterne, avendo avuto (casualmente) modo nei giorni scorsi di acquisire nuove informazioni in proposito. Si tratta di una questione che credo emblematica per capire molti aspetti dell’attuale “dibattito” sui cambiamenti climatici. Per consentire al lettore di comprendere appieno l’argomento e i suoi vari risvolti, è necessario ripartire dall’inizio.

 

Nei primi giorni del luglio 2019, i media locali danno una notevole rilevanza ai risultati di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi pisani e tradottasi in una pubblicazione scientifica; è un lavoro che si propone di valutare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla fioritura degli albicocchi nella Toscana sud-occidentale. Nella comunicazione di tale ricerca, le notizie di carattere prettamente agronomico sono però messe decisamente in secondo piano rispetto a quelle inerenti a un aumento delle temperature invernali nell’ultimo quarantennio, con crescita delle medie di gennaio e febbraio di circa 2°.

 

 

La suddetta informazione climatologica mi lascia come minimo perplesso, in quanto non in linea con i vari dati disponibili per le stazioni toscane e, più in generale, del territorio italiano. Incuriosito dalla cosa, scarico così l’articolo dal web (nota – nella trattazione esso sarà chiamato “articolo A”, per evitare confusione con un altro, di cui parleremo dopo e che sarà “articolo B”). A riguardo delle temperature, viene fornito il seguente grafico che mostra i valori mediati per cinque periodi successivi; questi valori derivano da misure effettuate con strumentazione collocata all’interno di un frutteto sperimentale, situato nella zona di Venturina, località posta pochi chilometri all’interno del litorale piombinese.

 

 

Perché non siano state pubblicate le intere serie storiche con tutti i valori annuali non è affatto chiaro; il metodo adottato porta così a confrontare le medie del quadriennio finale (2013-2016) con quelle dei precedenti decenni, procedura non corretta dal punto di vista statistico. Comunque, copio il diagramma sul mio PC e stimo con cura (± 0,1°) i valori in esso rappresentati; quindi, onde valutarne l’attendibilità, li ho poi posti in raffronto con quelli della stazione di Venturina gestita dal SIR (Servizio Idrologico della Regione Toscana), le cui registrazioni partono nel 1990:

 

 

 

articolo A

1973-82

1983-92

1993-02

2003-12

2013-16

nov

12,0

12,2

12,5

12,8

13,7

dic

9,2

9,0

8,6

9,4

10,6

gen

7,7

7,9

8,4

8,7

10,8

feb

8,6

8,2

8,6

8,9

10,3

mar

10,3

10,4

10,3

10,8

10,8

 

 

 

 

 

Medie 1993-2002 (articolo A)

 

Medie 1993-2002 (Venturina SIR)

 

gen

8,4

     

gen

8,4

 
 

feb

8,6

     

feb

8,5

 
 

mar

10,3

     

mar

10,4

 
                 

Medie 2003-12 (articolo A)

 

Medie 2003-12 (Venturina SIR)

 

gen

8,7

     

gen

8,0

 
 

feb

8,9

     

feb

7,5

 
 

mar

10,8

     

mar

9,9

 
                 

Medie 2013-16 (articolo A)

 

Medie 2013-16 (Venturina SIR)

 

gen

10,8

     

gen

9,3

 
 

feb

10,3

     

feb

9,3

 
 

mar

10,8

     

mar

10,9

 

 

 

 

Per il decennio 1993-2002, si nota una concordanza quasi perfetta fra le due stazioni, mentre i valori divergono nettamente nei due periodi successivi. Essendo impossibile che si possa avere una variabilità spaziale come quella evidenziata dalla tabella, si deduce che siamo in presenza di dati erronei in uno dei dataset posti a confronto. Anzitutto si può dire che le serie ricostruibili dall’archivio SIR sono da considerarsi di buona qualità, per la possibilità di confrontare le misure a Venturina con quelle di S. Vincenzo e di Suvereto, due stazioni site in un intorno non superiore ai 10 km. Vi sono poi delle considerazioni di carattere climatologico che fanno capire come siano i dati di Bartolini et al. ad essere sbagliati:

 

§  È impossibile che la media 2003-2012 di febbraio sia superiore a quella del decennio precedente (+0,3° mentre i dati SIR indicano un corrispondente calo di 1,0°). Infatti chi ha un minimo di esperienza in materia sa bene che i febbrai 2003, 2005 e 2012 sono stati nettamente i tre più freddi a partire dalla metà degli anni ’80, cosicché la media 2003-2012 del mese di febbraio risulta di 0,8°~1,2° inferiore a quella 1993-2002, per qualunque area geografica dell’Italia.

 

§  Nel quadriennio 2013-2016 la media di gennaio coincide perfettamente con quella di marzo (circa 10,8°). Ebbene, per l’area geografica in oggetto, è un fatto cui può essere associata una probabilità così bassa da far ritenere anch’esso come quasi impossibile. Una verifica condotta su Grosseto ha mostrato che la differenza termica Marzo-Gennaio, mediata su intervalli mobili di 4 anni lungo il periodo 1954-2016, ha segnato un minimo di +0,6° (nel 1973, unica occasione nella quale, su 63 casi, si è scesi al di sotto di 1°). In base alla media e alla deviazione standard della serie ricavata nel modo appena descritto, si evince che una differenza nulla equivarrebbe a uno Z-score di -2,93 e quindi la probabilità che gennaio non sia più freddo di marzo, in termini di medie quadriennali, è stimabile nell’ordine dello 0,2%.

 

In sostanza deduco che i valori dei periodi 2003-2012 e 2013-2016 sono affetti da errori evidenti e che perciò i media stanno facendo un bel can-can su dei cambiamenti climatici che in realtà sono molto più ridotti di quanto viene divulgato. Mi piacerebbe parlare con gli autori della ricerca, ma non è simpatico chiedere a persone che non conosci affatto come siano arrivate a pubblicare delle informazioni climatologiche palesemente erronee; decido allora di scrivere una mail alla Bartolini ponendole solo la questione di quali verifiche di qualità fossero state fatte sulle loro misure termiche. Era ovviamente un modo per provare a entrare nel discorso, ma non ho mai ricevuto alcuna risposta.

 

Nel frattempo, vengo interpellato da diversi amici, i quali, incuriosi dalle notizie giornalistiche sul tema in oggetto, mi chiedono un parere in proposito. Spiego loro come stanno le cose e ricevo, in conseguenza di ciò, alcuni suggerimenti di intervenire sui media per chiarire il problema. Così decido di contattare Danilo Fastelli, il giornalista de Il Tirreno, autore di uno degli articoli mostrati nella prima figura.

Non riesco neppure a ottenere un incontro di persona, per cui devo accontentarmi di un appuntamento telefonico, con tutti i rischi di riuscire a esprimere le proprie idee nei confronti di un interlocutore che presumibilmente non sa una parola di climatologia. In effetti il colloquio si rivela notevolmente cervellotico, col risultato che ne scaturisce un articolo davvero penoso [eufemismo].

 

Cosa significa “intervista controcorrente”? Nulla! Il mio obiettivo era solo di chiarire l’erroneità di certi dati; non avevo alcuna contro-teoria da proporre (tra l’altro, contro cosa?). Il titolo poi è demenziale; non certo per il suo assunto, ma per il fatto che stiamo parlando delle temperature degli ultimi decenni nella Toscana meridionale e non del global warming. Di tutti i punti climatologici che mi premeva spiegare, Fastelli scrive solo dei febbrai 2003, 2005 e 2012; per il resto fa una terribile macedonia di argomenti che nulla a che vedere hanno con lo studio di Bartolini e collaboratori. Infila nello scritto perfino Greta Thumberg, ma non fa cenno al fondamentale fatto che i dati di temperatura SIR sono in netto contrasto con quelli del frutteto sperimentale. Insomma, ai lettori è arrivato quello che è il prodotto combinato di una continua brama di sensazionalismo con una palese ignoranza scientifica.

 

Alcuni giorni dopo, Fastelli mi chiama per dirmi che gli autori dell’articolo hanno chiesto alla redazione del giornale di poter replicare ai contenuti della mia intervista; lo ringrazio per la comunicazione, ma, da parte mia, la questione è conclusa, anche perché ero in partenza per un breve viaggio.

 

 

   In questi giorni, cioè tre anni dopo tutto quanto finora raccontato, mi ritrovo, per pura casualità, ad occuparmi della “vicenda albicocche”. Facendo una ricerca in rete per fornire informazioni a un amico, vedo che due dei cinque autori dell’articolo del 2019 ne hanno scritto un altro l’anno successivo, che pare su simili tematiche.

 

Incuriosito, lo scarico dalla rete e appuro che effettivamente si parla di rapporti fra variazioni del clima e fioritura degli albicocchi, sempre con riferimento ad analisi sperimentali nel solito frutteto di Venturina. Per quanto concerne le temperature, viene fornita questa tabella: [nota – in rosso ho evidenziato un refuso; +0,8 che invece deve essere -0,8]

 

 

Anche nell’articolo B i valori sono forniti quali medie decennali, col conseguente problema dell’ultimo periodo che è di soli sei anni. I confronti con i dati dell’articolo A non sono immediati, in quanto gli intervalli temporali non sono sovrapponibili; per arrivare a una valutazione, il primo passo sarà quindi quello di fare un nuovo raffronto con le statistiche della stazione di Venturina del SIR. I risultati sono nella tabella che segue, nella quale sono indicate le medie delle minime, le medie delle massime e (in grassetto) le medie complessive del mese.

 

 

 

Medie 1991-2000 (articolo B)

 

Medie 1991-2000 (Venturina SIR)

gen

3,6

13,2

8,4

 

gen

3,6

13,1

8,4

feb

2,4

13,9

8,2

 

feb

2,4

13,8

8,1

mar

5,3

15,8

10,6

 

mar

4,4

16,1

10,3

                 

Medie 2001-10 (articolo B)

 

Medie 2001-10 (Venturina SIR)

gen

4,3

12,3

8,3

 

gen

3,3

12,2

7,7

feb

4,1

13,5

8,8

 

feb

3,1

12,9

8,0

mar

5,0

14,9

10,0

 

mar

5,0

15,1

10,1

                 

Medie 2011-16 (articolo B)

 

Medie 2011-16 (Venturina SIR)

gen

5,1

13,6

9,4

 

gen

5,1

13,6

9,4

feb

4,3

13,1

8,7

 

feb

4,3

13,1

8,7

mar

5,8

16,2

11,0

 

mar

5,8

16,2

11,0

 

 

 

Per il 1991-2000 si osserva una corrispondenza piuttosto buona, mentre qualche difformità appare nel decennio successivo. Ciò che però trovo sorprendente è la perfetta identità dei numeri riguardanti il 2011-16. Nell’articolo A, gennaio e febbraio avevano dati 2013-16 molto diversi nei due dataset; adesso, con l’aggiunta di soli due anni a tale intervallo, le medie combaciano. Cerchiamo di vedere come possono essere le cose, sempre aiutandoci con delle banali operazioni statistiche.

 

Facciamo una verifica partendo dall’ipotesi che siano corretti i valori sia dell’articolo A che di quello B. Mediante una semplice media ponderata, si ricavano le medie del biennio 2011-12, secondo le misurazioni nel frutteto; i dati li potete osservare di seguito, sempre in raffronto con i rispettivi della stazione SIR.

 

 

 

Medie 2011-12 (nel frutteto)

 

Medie 2011-12 (stazione SIR)

 

gen

6,6

     

gen

9,5

 
 

feb

5,5

     

feb

7,4

 
 

mar

11,4

     

mar

11,4

 
                 

Medie 2013-16 (nel frutteto)

 

Medie 2013-16 (stazione SIR)

 

gen

10,8

     

gen

9,3

 
 

feb

10,3

     

feb

9,3

 
 

mar

10,8

     

mar

10,9

 

 

 

 

La marcata difformità, per i valori di gennaio e febbraio, fra le colonne di sinistra e di destra conduce in definitiva a due potenziali interpretazioni:

 

Ipotesi 1 – Se la strumentazione del frutteto fosse attendibile, il termometro SIR avrebbe avuto allora delle fortissime anomalie di funzionamento, segnando 2°~3° in più del dovuto nel biennio 2011-12, per poi passare a misure in difetto di 1°~2° nel quadriennio successivo. Tutto ciò per generare alla fine, in modo del tutto casuale, delle medie complessive perfette sull’intero intervallo 2011-16. È possibile? Teoricamente sì, ma pressoché inverosimile dal punto di vista probabilistico.

 

Ipotesi 2 – Gli autori dell’articolo B, avendo constatato gli errori presenti nella pubblicazione del 2019, hanno corretto i dati di temperatura del frutteto. Mi pare una spiegazione di gran lunga più plausibile della precedente; in pratica questa n. 2 è l’unica ragionevole.

 

Per completare la verifica climatologica, è anche utile uno sguardo unitario ai dati dei lavori A e B, soprattutto per il fatto che nel secondo gli autori iniziano l’analisi dal 1991, mentre nel primo si partiva dal 1973 (si ricordi il grafico prima mostrato); mi concentrerò su gennaio e febbraio, cioè i due mesi che avevano catalizzato l’attenzione dei media. Nelle due tabelle che seguono le medie 1973-82 saranno confrontate con quelle 2013-16 (dell’articolo A) e poi con quelle 2011-16 (dell’articolo B), onde calcolare i rispettivi incrementi.

 

 

 

Medie 1973-82

 

Medie 2013-16 (articolo A)

Δ (°C)

gen

7,7

 

gen

10,8

   

3,1

feb

8,6

 

feb

10,3

   

1,7

               

Medie 1973-82

 

Medie 2011-16 (articolo B)

Δ (°C)

gen

7,7

 

gen

9,4

   

1,7

feb

8,6

 

feb

8,7

   

0,1

 

 

 

Gli aumenti segnalati nell’articolo A sono di un’entità che parla da sola: di fatto impossibili (soprattutto per gennaio). A titolo di esempio, gli stessi valori calcolati per Grosseto risultano +0,9 e +0,5 cioè lontani anni luce. È inspiegabile come si possano pubblicare dati di questo genere ed è incommentabile che su di essi si possa accendere l’attenzione dei media, senza che si facciano degli accertamenti. Raffrontando invece le medie 1973-83 con quelle 2011-16 dell’articolo B, i Δ appaiono così pesantemente ridotti da non giustificare alcuna eventuale dichiarazione sensazionalistica sui mutamenti delle condizioni climatiche invernali.

 

 

 

La lettura dell’articolo B e le relative verifiche mi hanno fatto tornare in mente le discussioni del luglio 2019, per cui mi è venuto l’interesse di vedere i contenuti della replica alla mia intervista che il gruppo di autori dell’articolo A aveva chiesto di pubblicare sul giornale (Il Tirreno); non comprando quasi mai tale quotidiano e non essendo stato informato da alcuno, all’epoca la cosa mi era in effetti sfuggita. La ricerca del testo è stata semplicissima, grazie all’utile archivio della rassegna stampa dell’ateneo pisano.

 

 

 

 

Appena letto il pezzo, sono stato contento di non aver avuto occasione di farlo al tempo della sua uscita, perché penso che sarei stato tentato di intervenire di nuovo, rischiando così di cadere in polemiche inutili, oltretutto col risultato di rendere ancor meno chiare le mie posizioni. Adesso, ad anni di distanza, posso invece permettermi dei commenti adeguatamente ponderati che propongo di seguito al lettore, precisando che la replica in questione è a firma di Bartolini e colleghi, per cui non ci sono possibilità di equivoci nell’interpretazione dei contenuti.

 

Prima di passare a singole puntualizzazioni, mi preme però rilevare il senso di amarezza che mi deriva dal vedere dei colleghi universitari che ricorrono ad atteggiamenti e all’uso di termini tipici di settori fortemente ideologicizzati, ma che dovrebbero essere ben lontani dalle discussioni scientifiche. È importante anche sottolineare che nella replica è citato espressamente il mio sito web, per cui è sicuro che gli interessati avevano già letto il post nel quale spiegavo le mie idee sulla vicenda delle albicocche; si può quindi escludere che possano in qualche modo essere stati fuorviati dal polpettone giornalistico prodotto da Fastelli. Premesso quanto detto, passo alla discussione sistematica di alcuni argomenti della replica, riportando delle relative frasi.

 

·        Negazionismo – Su tale argomento ho già avuto occasione di scrivere, ma è bene tornarvi sopra ogni volta che sia necessario, perché trattasi di una questione davvero vergognosa. Come ben noto, il termine è stato introdotto per individuare l’azione di chi nega delle realtà acclarate quali i genocidi degli Ebrei o degli Armeni; è quindi usato nell’ambito di problemi di carattere etico estremamente gravi, in quanto lesivi della verità storica di interi popoli e potenzialmente forieri di creare delle situazioni culturali che possano favorire ulteriori forme di discriminazione. Ebbene, tutto questo che relazioni può avere con un qualsiasi dibattito scientifico? Nessuna! È indegno definire “negazionista” chi non è allineato al mainstream del cambiamento climatico; vederlo fare da docenti universitari è sconcertante.

 

·        «Il professore, cogliendo l’attimo per divulgare gratis le sue teorie sul clima …» – Sinceramente, non ho delle mie teorie da divulgare gratis e neppure a pagamento. Quello che cerco di far capire da tempo è l’inconsistenza di un mare di affermazioni su sconvolgenti cambiamenti che si sarebbero già manifestati, ma che le serie storiche di dati non confermano affatto. Discuto quindi di semplici analisi statistiche e lascio ad altri esperti l’eventuale formulazione di teorie.

 

·  «Nel merito, sottolineiamo la sua incapacità a interpretare la pubblicazione, sicuramente a causa delle sue scarse conoscenze sui sistemi biologici complessi come le piante superiori» – Se, prima di scrivere, mi avessero consultato direttamente, non avrei avuto alcuna difficoltà nell’autorizzarli a sostituire “scarse” con “nulle”. Il problema è però che non mi è neppure passato per la mente di interpretare un articolo di una disciplina che non conosco affatto; dei contenuti del lavoro sulle albicocche, ho semplicemente rilevato che il grafico presente a pag. 401 era basato su dati termici palesemente erronei. Bartolini e collaboratori hanno parlato di tante cose, ma su questo punto essenziale non hanno chiarito nulla, per poi far uscire un nuovo lavoro con valori – guarda caso – diversi dal primo.

 

·      «l’articolo ha finalità biologiche e cerca di indagare i rapporti intimi tra clima e fasi fenologiche dell’albicocco. Aver riscontrato, nei 40 anni, variazioni delle temperature invernali è un aspetto collaterale della ricerca su cui la comunicazione ha però posto l’attenzione, essendo un argomento di sicura attrattività» – Da queste frasi appare evidente che gli autori vogliano sostenere che il battage mediatico sui circa +2° in gennaio-febbraio sia dipeso dai birboni dei giornalisti, mentre loro avrebbero voluto occuparsi solo di temi di arboricoltura; una spiegazione che non mi pare stia in piedi. Sinteticamente: 1) Anche i sassi sanno che il sistema mediatico è costantemente attivato per lanciare notizie catastrofistiche sul clima; come ovvio, sono però necessari degli input esterni per far partire gli allarmi. 2) Riterrei poco credibile che i giornalisti siano lettori abituali della rivista Scientia Horticulturae. 3) L’attenzione all’articolo è stata quindi indotta dall’esterno. Fastelli, in proposito, mi ha confermato che l’ufficio stampa dell’ateneo ha pressato notevolmente affinché venisse dato risalto sui media alla ricerca in oggetto. 4) Non è neppure pensabile che i giornalisti si siano messi a studiare il lavoro, per poi trarne dei commenti. 5) Ne deriva pertanto che la focalizzazione sull’incremento delle temperature invernali è stata suggerita da fonti di ateneo; l’identica informazione sparata in tutti i titoli ne è una prova evidente. 6) Che tale suggerimento sia esplicitamente venuto dagli autori dell’articolo A, oppure da altri a loro vicini ha ben poco rilievo; non possono certamente sottrarsi dalla responsabilità di aver dato il via al can-can dei +2° in inverno.

 

·        «[le piante] Non sono in grado di scrivere libri da vendere, come invece fa Pinna» – In questo passaggio i nostri cadono nel patetico, tentando la carta dell’ironia su un tema davvero inadatto. A chi infatti crede che sostenere qualcosa non in linea con le “verità ufficiali” sul clima possa determinare dei vantaggi pratici, consiglio caldamente di guardarsi meglio attorno, per capire qual è la reale situazione. Gli autori della replica sono comunque autorizzati a chiedere ai miei editori (Felici, Aracne, Tab e La vela) se il sottoscritto ha mai ricevuto da loro 1 solo euro per i libri pubblicati.

 

Insomma, una replica piena d’astio, ma che non ha nemmeno sfiorato le questioni essenziali da me sollevate: a) i dati termici discordanti con la climatologia dell’Italia; b) la netta difformità, per certi periodi, delle misure di temperatura tra il frutteto e la stazione SIR. In compenso, io vengo tacciato di essere intervenuto sul giornale per «cercare un po’ di celebrità, allineandomi trumpianamente al negazionismo affiorante»; evito di commentare, sperando che gli interessati abbiano nel frattempo riflettuto sull’indecenza di tali affermazioni.

 

 

 

CONSIDERAZIONI DI SINTESI

 

 

 

Quella di cui abbiamo discusso è ovviamente una vicenda inerente alla divulgazione sui cambiamenti climatici. I suoi punti essenziali li possiamo così riassumere:

 

v Nel luglio 2019 i giornali locali si interessano a una pubblicazione scientifica, da poco uscita, riguardante certe modificazioni che la crescita delle temperature avrebbe indotto nella fioritura degli albicocchi.

 

v Tutti i titoli dei relativi articoli giornalistici sparano però la notizia di un aumento di circa 2° in gennaio e febbraio, nel corso degli ultimi 40 anni. Questo è il messaggio chiaro che arriva alle persone.

 

v Faccio delle semplici valutazioni climatologiche sui dati del lavoro scientifico e deduco che tale indicazione deriva da valori termici erronei; l’opinione pubblica sta così ricevendo l’ennesima informazione ben lontana dalla realtà.

 

v Chiedo allora di intervenire sulla stampa per spiegare la questione. Non è però possibile pubblicare qualcosa scritto di mio pugno, ma devo accontentarmi di un’intervista.

 

v Il sottoscritto è presentato come il classico “personaggio controcorrente”; l’intervista risulta essere uno spaventoso polpettone con un titolo lontano anni luce dal nocciolo della vicenda; al lettore, il messaggio che i dati strombazzati sono farlocchi giunge così annacquato che certamente non lascia alcun segno.

 

v Gli autori della ricerca chiedono di replicare all’intervista e viene concesso di pubblicare uno scritto a loro firma; perché non una contro-intervista?

 

v Nella replica, si mena il can per l’aia, ma non si risponde ai miei appunti strettamente climatologici. In compenso vengo definito (a partire dal titolo!) “negazionista”.

 

v Le differenze fra le medie 2013-16 e quelle 1973-82 per i mesi di gennaio (+3,1 !) e febbraio (+1,7) sono assurde; queste mie rilevazioni sono definite “elucubrazioni” dagli autori.

 

v Nel 2020 due componenti dello stesso gruppo di ricerca pubblicano un nuovo articolo scientifico con dati di temperatura corretti rispetto al precedente; il forte riscaldamento invernale si attenua così in modo sostanziale, ma sui media non ne appare traccia.

 

 

 

Il sistema della propaganda ha funzionato perfettamente: l’unica informazione che alla fine resta per il pubblico sono le grida iniziali sui +2° in inverno. Come avevo detto all’inizio del post, una vicenda ideale per capire come si aggiungono i vari mattoni alla costruzione della realtà virtuale del clima impazzito.

 

 

P.S. – chi fosse interessato a leggere gli articoli scientifici in oggetto, come pure l’intervista e la replica a essa, può scrivermi una mail, chiedendomi di inviargli i relativi Pdf.