Un ottimo esempio di distorta interpretazione dei dati

15 aprile 2023

 

Nei giorni scorsi i media nazionali (grandi quotidiani e TV) hanno dato spazio a questioni demografiche, riprendendo i contenuti di un report sul 2022, appena pubblicato dall’Istat. In questa nota discuterò di quanto detto a proposito della mortalità, cercando di spiegare come il commento ai dati possa portare alla diffusione di idee per nulla confacenti alla realtà dei numeri. Nel riquadro sottostante la pagina 4 del report.

Nel primo capoverso sono forniti i dati essenziali, ma non viene affatto chiarito al pubblico il loro significato. Quanto avvenuto infatti nel triennio 2020-2022 non ha paragoni col passato, al punto che si deve risalire all’apocalisse della Spagnola del 1918, per trovare una crisi sanitaria maggiore di quella innescata dal Covid. Nella serie storica del numero dei decessi annui si può osservare che nessuna delle grandi epidemie influenzali degli anni ’50 e ’60 ha prodotto un salto comparabile a quello determinato dal triennio in oggetto.

 

L’andamento del tasso di mortalità (‰) mostra come si sia avuta una stabilizzazione per lungo tempo attorno a 9,6~9,7 cui è seguita una crescita negli anni Duemila, presumibilmente dovuta all’invecchiamento della popolazione. Comunque, il balzo recente appare chiaramente fuori scala rispetto alla variabilità osservata in tutto il periodo post 1950, per cui sarebbe veramente un serio problema se non si dovesse ritornare ai livelli osservati fino al 2019.

Una situazione preoccupante, anche in rapporto ad altri paesi europei con i quali spesso si operano dei confronti. In effetti, se utilizziamo come valore normale la mediana 2016-2019, gli incrementi italiani dei decessi ammontano, rispettivamente per il 2020, 2021 e 2022, a 17,7  10,7 e 12,6%, mentre le corrispondenti percentuali risultano 5,3  9,4 e 13,7 per la Germania e 10,0  8,3 e 10,6 per la Francia. Ebbene, nulla di tutto ciò è spiegato ai lettori del report, mentre, già col titolo del paragrafo (Picco dei decessi nei mesi più caldi e freddi), è palese l’intenzione di portare la loro attenzione su altre questioni.

Dal secondo capoverso, i nostri amici dell’Istat iniziano in effetti ad affrontare argomenti di bioclimatologia, dimostrando di saperne poco o nulla e, al contempo, di essere animati da un adente desiderio di confermare certi dogmi inerenti alla “crisi climatica”. La frase «Il numero più alto dei decessi si è avuto in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto» è suggestiva, ma ha il difettuccio di essere erronea dal punto di vista demografico e da quello climatologico; si osservi in proposito la seguente tabella, nella quale le temperature derivano dal solito set (26 stazioni) che aggiorno progressivamente.

È sufficiente leggere i numeri delle morti per constatare che febbraio e marzo hanno superato il dato di agosto. Se poi confrontiamo i singoli mesi – come sarebbe corretto fare – tenendo conto della loro differente durata, febbraio sale al terzo posto, quindi oltrepassando pure luglio; allo stesso modo, agosto è così inferiore sia ad aprile che a novembre.

Inserire poi dicembre fra “i più rigidi” è: a) sbagliato, come caratteristica del clima italiano (febbraio ha medie leggermente inferiori); b) ridicolo, nello specifico del 2022. Questo è risultato l’anno più caldo in assoluto per il nostro territorio; un risultato cui ha contribuito proprio il dato termico del mese di dicembre, il più alto di tutta la sua serie storica.

Al di fuori della fase-Covid, le oscillazioni della mortalità nel corso dell’anno sono sempre dipese da tre fattori: 1) le epidemie influenzali (a seconda della loro aggressività e della tempistica dell’apice di diffusione); 2) il freddo nell’inverno; 3) il caldo nella stagione estiva. Il picco di morti del dicembre 2022 (quasi 68 mila unità) va ancora interpretato nelle sue cause, ma è sicuro che il clima non possa aver giocato un ruolo particolare, vista la mitezza di questo mese.

Impressionante è il dato di luglio (oltre 65 mila), di gran lunga maggiore di qualunque altro valore di tutti i precedenti mesi estivi. Correlato senza dubbio alle forti ondate di calore registratesi, mi pare comunque eccessivamente alto per non essere anche legato ad aspetti ancora non troppo chiari del quadro sanitario e sociale, conseguente agli effetti di lungo periodo della pandemia.

Tornando ai commenti del report Istat, si vede che nel quarto e nel quinto capoverso l’analisi vorrebbe assumere un carattere diacronico, senza però che siano indicate le necessarie delimitazioni temporali; scaturisce perciò la netta sensazione di essere in presenza di informazioni diffuse a uso e consumo di certi desiderata dei redattori, piuttosto che per reali finalità di corretta divulgazione. Infatti, quanto rilevato nel report per certe anomalie delle annate 2003, 2015, 2017 e 2022 lo si ritrova più volte anche in periodi pregressi, ma la cosa è allegramente ignorata nello scritto, così da far pensare al lettore che certi valori di tali annate siano senza precedenti.

In conclusione del finora citato coacervo di errori e interpretazioni distorte, si arriva finalmente all’anelato ossequio alle solite “verità” mediatiche, con la frase: «… quanto i cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza …». Frase davvero bella in termini di politicamente corretto, ma purtroppo corrispondente a una totale invenzione, come inequivocabilmente dimostrabile da qualsiasi analisi seria dei dati demografici. Consiglio, ad esempio, di leggere l’articolo di Zhao Q., et al., uscito nel 2021 sulla rivista Lancet Planet Health. Un lavoro consistente in un’analisi a livello globale delle relazioni fra temperatura e mortalità; analisi condotta mediante l’applicazione di un appropriato modello ai dati giornalieri (nel ventennio 2000-2019) di 730 località, ricadenti in 43 diversi Paesi. Lo studio ha fatto emergere che le morti dovute alle basse temperature hanno superato di 9,4 volte quelle causate dalle temperature elevate (in Europa tale rapporto è risultato di 3,7 a 1). In base a questi risultati, gli Autori hanno stimato che il riscaldamento climatico negli anni Duemila – con conseguenti effetti sui decessi di miglioramento della situazione in inverno e contemporaneo peggioramento in estate – abbia portato complessivamente a una riduzione annua delle morti di circa 170 mila unità.

 

Concludo questa nota con una ricorrente esortazione: passare un po’ di tempo a studiare ciò di cui si vuole discutere e sostituire la propaganda con veri argomenti scientifici.