Nuovi esempi del disastro dei dati climatici italiani

 

8 luglio 2022

 

 

Fare ricerca di climatologia in Italia è spesso molto difficile per la difficoltà di reperimento di dati utili. Tale problema deriva in gran parte, come ho più volte avuto modo di sottolineare, dalla storica assenza di un servizio meteo-climatico nazionale, cioè di un ente che si occupi delle misure meteorologiche in un gran numero di stazioni e quindi della gestione delle relative statistiche, ai fini di una corretta utilizzazione sia per scopi tecnici, sia scientifici.

 

Chi ha un po’ di pratica in materia sa che in passato esisteva il Servizio Idrografico, un ente tecnico del Ministero dei Lavori Pubblici che si occupava del controllo dei bacini fluviali del nostro territorio, secondo una sua ripartizione in 14 sezioni, ognuna delle quali gestita da un apposito ufficio (il successivo cartogramma riporta le sezioni con i nomi delle città sedi tradizionali di detti uffici).

 

 

Il Servizio ebbe una netta valorizzazione a seguito dell’uscita (1989) della legge che istituiva le Autorità di Bacino; venne infatti riconosciuto come struttura di rilievo nazionale e passò alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Paradossalmente questa “promozione” ne costituì una sorta di canto del cigno, visto che già negli anni ’90 veleggiava in una palese aria di crisi, mentre si parlava di un suo smembramento in molteplici strutture regionali; naturalmente adducendo ragioni di maggiore efficienza complessiva. Tale smembramento si compì ufficialmente nel 2002 ed è stato una vera iattura per la climatologia italiana.

 

Il Servizio non aveva finalità e procedure scientifiche, ma sarebbe bastato inserirvi un (piccolo) comitato ad hoc di esperti per ovviare a tale problema. Aggiungendo poi alle tradizionali rilevazioni di piogge e temperature quelle di altre grandezze meteorologiche si sarebbe arrivati con facilità a coprire buona parte delle carenze dovute alla mancanza di un vero ente meteo-climatico nazionale, di cui accennavo all’inizio. Invece si è follemente deciso di abolirlo e lo si è fatto proprio quando si era entrati prepotentemente nell’era dei computer e delle reti, quindi con la possibilità di gestire ed elaborare una quantità di dati nemmeno comparabile a quella del passato.

 

I servizi regionali lavorano oggi senza alcun coordinamento generale, per cui la loro funzione a fini di ricerca è molto minore di quanto potrebbe essere.

 

Per quanto ho potuto constatare, il Servizio Idrologico della Regione Toscana (SIR) non è certamente tra i peggiori come efficienza, per cui le questioni che mi accingo a sottoporvi credo costituiscono un ulteriore ottimo esempio della disastrosa situazione degli archivi climatici italiani.

 

Con l’obiettivo di fare uno studio sugli afflussi e i deflussi del bacino dell’Arno, ho conciato a raccogliere i dati, concentrandomi sulla stazione di S. Giovanni alla Vena, sia per la sua posizione di relativa vicinanza alla foce, sia per la (teorica) possibilità di costruire delle serie storiche di lunghezza secolare (dagli anni ’20 del secolo scorso ad oggi). Se fino agli anni ’90, grazie al ricorso ai classici Annali, il lavoro è filato abbastanza bene, arrivando ai dati degli ultimi decenni sono emersi dei problemi di entità tale da costringermi a fermare il lavoro, proprio per l’impossibilità di conferire fiducia ai valori forniti dal SIR. Nel suo sito web sono reperibili dei documenti Pdf (i Report Pluviometrici), ove vengono anche fornite delle serie temporali degli afflussi ragguagliati ai bacini principali; il grafico che segue è proprio costruito sulla base di tali serie.

 

 

Non credo sia necessario essere degli scienziati di livello mondiale per capire che i valori del periodo 1985-1995 sono semplicemente ridicoli. Eppure, ogni anno sono stati ripubblicati nei nuovi report, senza che alcuno ne abbia notato l’assurdità. Considerata l’enfasi con la quale viene comunicata l’attuale fase siccitosa del 2022, per i primi anni ’90 – se i dati del diagramma fossero reali – si dovrebbe allora parlare di un’autentica piaga biblica, con allegati racconti di processioni religiose e altri riti propiziatori volti a tentare di salvare la società dal disastro idrico.

 

 

Nell’insieme di dati folli, è davvero fantastico il record negativo di 322 mm che il bacino del Magra (area geografica piovosissima) avrebbe toccato nel 1993. Come possano essere scaturite tali assurdità è misterioso, anche perché sarebbe stato sufficiente dare un’occhiata agli Annali per capire di essere del tutto fuori strada. Facendo l’esempio dell’Arno, per gli anni 1987-1995, si riscontra una media di 510 mm nei Report, a fronte di una di 890 dagli Annali.

 

È evidente che dal 1996 gli andamenti ritornano su livelli plausibili, ma che fiducia possiamo dare a statistiche diffuse in un quadro così sconfortante? Non è certo possibile fugare i dubbi sull’omogeneità con le serie del periodo antecedente.

 

Ricavando poi altre informazioni da settori diversi del sito del SIR, è emerso un ulteriore problema che credo interessante da spiegare. Confrontando gli afflussi annui su tutto il bacino dell’Arno con quelli della sua parte sottesa dalla sezione relativa a S. Giovanni alla Vena, ho ricavato la seguente tabella:

 

 

S. G. Vena

Tutto il bacino

1996

1131,6

1144,0

1997

895,4

879,0

1998

884,7

883,0

1999

1046,7

1070,0

2000

1076,7

1105,0

2001

924,9

940,0

2002

1062,2

1083,0

2003

806,8

820,0

2004

1076,6

1077,0

2005

1050,3

1037,0

2006

823,6

845,0

2007

737,6

759,0

2008

1003,4

1012,0

2009

955,0

978,0

2010

1363,0

1396,0

2011

629,2

641,0

     

media

966,7

979,3

 

 

Apparentemente potrebbe sembrare tutto normale, ma in realtà sono pure questi dei dati impossibili, visto che l’area relativa alla stazione in oggetto è il 99,5% del totale.

 

Applicando allora una semplice media ponderata sulle estensioni di superficie, si ricava che, per avere una piovosità sull’intero bacino di 979 mm, a valle di S. G. alla Vena, gli afflussi medi dovrebbero essere di circa 3480 mm!! Si pensi che il valore di Pisa per gli anni 1996-2011 è pari a 900.