Una “Fahrenheit 451” per la climatologia non allineata ai dogmi della crisi climatica

24 luglio 2023

 

 

 

Titolo e relativa immagine della presente nota si spiegano proprio perché la questione di cui si tratterà di seguito mi ha ricordato Fahrenheit 451, un bel film fantapolitico del 1966 di Francois Truffaut, nel quale si vede che viene inesorabilmente bruciato ogni genere di libro, al fine di evitare che possano diffondersi idee e sentimenti diversi dalla verità unica, veicolata e imposta dalla televisione.

 

Gran parte delle informazioni alla base dello scritto derivano da un recente ed esaustivo blog di Roger Pielke jr (https://rogerpielkejr.substack.com/p/think-of-the-implications-of-publishing?utm_source=profile&utm_medium=reader2).

 

 

 

I fatti

 

Lo scorso anno, esce sulla rivista The European Physical Journal Plus un articolo intitolato “A critical assessment of extreme events trends in times of global warming”, a firma di G. Alimonti, L. Mariani, F. Prodi e R. A. Ricci. Si badi bene che non si tratta di un lavoro nel quale gli Autori introducono nuovi dati, ma più semplicemente di un esame critico della bibliografia recente sulle serie storiche di alcuni eventi meteorologici estremi.

 

Ne è risultato che tutti i parametri studiati nelle varie ricerche considerate hanno mostrato una sostanziale invarianza temporale, fatta ovvia eccezione per le ondate di calore che risultano in crescita, visto il riscaldamento globale verificatosi. Il testo è approvato dai revisori nominati dalla redazione della rivista.

 

Dopo la sua pubblicazione, l’articolo è stato oggetto di qualche discussione su diversi blog, senza ricevere comunque una particolare attenzione; poi, otto mesi dopo, Graham Readfearn ha lanciato sul The Guardian un attacco frontale al lavoro di Alimonti et al. Questo giornalista (un valoroso cavaliere Templare, votato alla difesa del sacro Graal delle verità climatiche) era venuto a conoscenza di alcune considerazioni fatte da media australiani, che avevano sottolineato la stazionarietà di molti dei fenomeni estremi esaminati. Apriti cielo! Uno schiaffo al dogma fondamentale, un’onta da sanare.

 

Il Guardian ha così coinvolto nella vicenda quattro scienziati (altri incorruttibili Templari dei dogmi del clima) pronti a sparare a zero sul documento: Greg Holland, Lisa Alexander, Steve Sherwood e Michael Mann. È nata così una campagna di pressione inusitata sulla redazione della rivista, affinché tornasse a occuparsi dell’articolo, i cui contenuti avrebbero addirittura gettato discredito sullo stesso periodico.

 

In pratica si è arrivati a qualcosa di meraviglioso: l’articolo è stato sottoposto a un nuovo processo di revisione, senza che vi fosse alcunché di oggettivo che lo potesse giustificare.

 

Non sto a dilungarmi troppo, ma mi limito a riferire il giudizio di uno dei nuovi revisori:

 

«Concordo pienamente sul fatto che l’origine del grande aumento del numero di eventi catastrofici legati al tempo e al clima sia in gran parte dovuta alla maggiore esposizione e vulnerabilità legata alla crescita demografica ed economica piuttosto che al cambiamento climatico.

 

In [Alimonti et al.] si sottolinea che nonostante l’esistenza di tendenze rilevabili nelle variabili medie, nella maggior parte dei casi non esistono tendenze negli eventi estremi. Capisco cosa intendono gli autori, ma bisogna prestare attenzione all’esatta formulazione delle frasi. Rilevare le tendenze negli eventi estremi è molto più difficile che rilevare le tendenze nelle variabili medie. Chiaramente, la quantità limitata di dati per gli eventi estremi rende molto più difficile individuare i cambiamenti in modo statisticamente significativo. La grande variabilità interannuale delle statistiche sugli eventi estremi implica che, anche se sono presenti cambiamenti, la quantità limitata di dati a nostra disposizione li rende non rilevabili per lunghi periodi».

 

Un giudizio che pare abbastanza equilibrato e di certo non particolarmente negativo, come d’altra parte non potrebbe che essere, viste le caratteristiche e i contenuti dell’articolo in discussione. Ebbene, dopo le frasi suddette, il revisore conclude: «a mio giudizio, il lavoro non può essere pubblicato». Ha senso? Sembra una logica simile a quella di una richiesta di ergastolo per un’infrazione di divieto di sosta.

 

Chi ha interesse specifico, può leggere al link prima segnalato i giudizi degli altri referee, constatando che sono ancor più favorevoli di quello riportato. Si sviluppa poi una dialettica fra revisori e autori, chiamati a chiarire alcune questioni poste dai primi. Quello che conta è però l’esito finale di tutto il processo; nonostante la mancanza di valide motivazioni …

 

la redazione ritiene che l’articolo debba essere ritirato!!

 

 

 

I miei personali commenti

 

Una vicenda allucinante e preoccupante, in merito alla quale tengo a precisare i punti seguenti.

 

·        Non è certo una procedura frequente quella di ritirare da una rivista un articolo già pubblicato. Tale fatto potrebbe essere giustificato solo se fossero emersi dei problemi riferibili alla sfera dell’etica e della deontologia professionale; altrimenti è cosa vergognosa.

 

·        Non essendo risultato alcun appunto di carattere etico, la bocciatura va ritenuta allora di genere scientifico. Ne deriva pertanto che gli originari revisori debbano essere giudicati come dei miseri inetti, incapaci di vedere dei difetti così macroscopici da rendere non pubblicabile uno scritto, che invece approvano. Un colpo anche al prestigio della rivista che ha permesso tutto ciò.

 

·        La seconda revisione è un’evidente presa in giro. La redazione, sollecitata dai quattro scienziati-Templari, ha già l’idea di quello che sarà l’esito finale e cerca soltanto degli appigli per dare un alone di correttezza procedurale a una vicenda ove la vera scienza è ormai sparita.

 

·        Se fossi stato coinvolto direttamente nel problema (cioè se fossi stato tra gli autori) mi sarei rifiutato di dialogare con i nuovi revisori e con la redazione. Non certo per un atto di superbia, ma per il fatto che tutta la discussione nasce solo da ragioni ideologiche che vengono ridicolamente spacciate per scientifiche. Alimonti e colleghi sono ovviamente rimasti molto male per la vicenda, ritenendola lesiva della loro immagine di studiosi; nel momento in cui esce la presente nota è ancora in corso una querelle per evitare la “bocciatura” del loro articolo. È una posizione del tutto comprensibile, ma, in piena sincerità, non farei di un eventuale esito negativo un punto d’onore professionale, perché siamo in presenza di una questione fondata su presupposti così sconfortanti, da poter guardare con un certo distacco determinate valutazioni critiche.

 

·        Ogniqualvolta una discussione si fa lunga e complessa, c’è il forte rischio che si perda il senso effettivo delle cose, come appunto è stato nella nostra vicenda. Se un articolo come quello in oggetto avesse caratteri tali da essere rigettato per difetti scientifici, bisognerebbe davvero accendere una miriade di quei falò, di cui al film Fahrenheit 451. Invece, in vent’anni non ho mai visto, non dico una richiesta di ritiro, ma neppure una velata critica a lavori contenenti grossi errori e/o vistose lacune e che – guarda caso – andavano nella direzione di una bella conferma della crisi climatica.

 

 

 

Lotta alle eresie, invece che dibattito scientifico

 

È sconcertante il livello di ipocrisia di certi scienziati, che cercano di spacciare per oggettive delle considerazioni dettate al contrario da presupposti ideologici.

 

L’insensata levata di scudi contro Alimonti e colleghi mi ha fatto tornare alla mente un episodio del 2018, in quanto anch’esso legato a una pubblicazione concernente un’analisi critica di bibliografia di settore. Un gruppo di studiosi pisani aveva rivolto la propria attenzione al mais OGM, accertando che nessuno studio (in campo mondiale, sul periodo 1996-2016) ne aveva evidenziato alcun problema di utilizzo, mentre apparivano evidenti alcuni importanti vantaggi relativi alla riduzione della concentrazione di pericolose micotossine.

 

In un mondo normale, tutto ciò avrebbe dovuto costituire un forte argomento di riflessione per certe scelte politiche; nel mondo reale, si scatena un autentico putiferio a scala nazionale. La verità scientifica non conta nulla di fronte alla gravissima “lesa maestà” verso uno dei dogmi più granitici dell’ambientalismo (No OGM!). Alla fine – in una sostanziale indifferenza del mondo scientifico di vari settori – sul tutto è calato il silenzio e gli esiti di uno studio così rilevante, come assolutamente prevedibile, non hanno avuto alcun effetto sulla nostra vita pubblica. Un perfetto esempio di prevalenza dell’ideologia irrazionale sul procedimento logico.

 

In tema di cambiamenti climatici siamo ormai all’assurdo: i numeri servono solo quando essi possono, almeno parzialmente, confermare certe idee preconcette; altrimenti vengono allegramente ignorati o travisati, nella certezza che il gotha della disciplina non avrà nulla da eccepire.

 

Si spera di non arrivare a una moderna Inquisizione della climatologia (vedi figura precedente), ma, se si può scherzare sui metodi di tortura, è pura realtà dire che ci sono delle forti pressioni volte a imporre determinate prese di posizione. A mio parere infatti, la bocciatura dell’articolo di Alimonti et al., non dipende in realtà dai suoi contenuti (ben poco attaccabili nella complessiva sostanza, per ovvie ragioni), bensì da una frase che costituisce una vera eresia rispetto alla religione della catastrofe. Nell’abstract, dopo aver detto che non appaiono trend significativi per le serie degli eventi estremi, si giunge all’evidente affermazione: «In conclusione, la crisi climatica che secondo molte fonti stiamo vivendo oggi, non è ancora evidente sulla base dei dati osservativi». È vero, ma non può essere detto, se non si vuole essere tacciati di bieco negazionismo.

 

In proposito, si può ricordare un articolo uscito nel 2009 sull’International Journal of Climatology (S. Fatichi e E. Caporali, “A comprehensive analysis of changes in precipitation regime in Tuscany”) e consistente in un’ampia analisi statistica dei dati contenuti nell’archivio online del SIR (il Servizio Idrologico Regionale toscano). Dalla ricerca non era emersa alcuna modificazione apprezzabile nei caratteri di intensità delle precipitazioni in Toscana durante il ventesimo secolo e forse appariva qualche debole segnale di decremento per alcuni parametri degli eventi estremi. A fronte però di questi sconfortanti risultati, gli autori non sono incorsi nella grave ingenuità di Alimonti e colleghi (pensare che conti la logica), mettendo subito le cose in chiaro con questa rispettosa frase dell’abstract: «La complessità del clima nell’Italia centrale, ovvero l’azione di numerosi feedback, potrebbe infatti distorcere o rimuovere le conseguenze del riscaldamento globale sul regime delle precipitazioni».

 

Cosa sono i “numerosi feedback”? Nessuno lo sa, ma è importante dichiarare che è colpa loro se non è stato possibile verificare quelle (sottinteso preoccupanti) “conseguenze del riscaldamento globale sul regime delle precipitazioni”, che devono esistere per assioma. Tutto a posto: il dogma è ossequiato, i referee possono approvare e quindi l’articolo è accettato per la pubblicazione.

 

Sbaglia chi dovesse sorridere a queste mie affermazioni, perché collimano proprio con quanto suggerito nell’ultima frase del giudizio prima riportato; rileggendola si capisce chiaramente che il referee avrebbe voluto che nel testo fosse detto che, per un qualche motivo, i trend non erano ancora riconoscibili. Trend che, ripeto, devono esistere per assioma.

 

Nuovo atto dell’Inquisizione Climatica (aggiornamento del 25/07/2023)

 

Nelle ultime ore si è saputo che è stato “rimandato” (leggasi: cassato) un intervento che John Clauser – premio Nobel 2022 per la fisica – avrebbe dovuto tenere nei prossimi giorni al Fondo Monetario Internazionale. Il motivo? Semplicissimo: Clauser doveva parlare di una sua teoria che spiega le variazioni della temperatura globale, in base a meccanismi di feedback concernenti la copertura nuvolosa, che risulterebbero di gran lunga dominanti rispetto al ruolo giocato dalla concentrazione della CO2. Un tema, quindi, in stridente contrasto con il mainstream climatico.

 

In piena sincerità, non sapevo nulla di tutto ciò fino a oggi e non ho la benché minima opinione sulle idee del fisico statunitense; cose che però non mi impediscono di dichiararmi davvero disgustato da quest’ultimo episodio di vera e propria censura, che nulla ha a che vedere con le normali procedure scientifiche.

 

Infatti, vorrei che anche chi contestasse sinceramente le posizioni di Clauser si rendesse conto del punto al quale siamo arrivati: mentre a un premio Nobel si impedisce di presentare le proprie teorie (convincenti o meno che siano ritenute), una ragazzina – Greta Thumberg – piena solo di furore ideologico, viene ricevuta e ascoltata dai grandi del Pianeta come fosse depositaria di verità incontestabili.

 

Se questo è il modo col quale l’Occidente pensa di fare le scelte più importanti, forse è lecito nutrire qualche dubbio sul nostro futuro progresso.